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‘I Misteri Della Storia – tanti enigmi risolti e irrisolti’. Il nuovo libro dell’ambasciatore Domenico Vecchioni. Intervista con l’autore

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Anna Tortora

Per la mia rubrica IL Personaggio sono lieta di ospitare Domenico Vecchioni, ambasciatore. Con lui affronterò il tema della crisi in Afghanistan e mi parlerà del suo ultimo libro.

Ambasciatore Vecchioni, come si è comportata la nostra diplomazia nella gestione della crisi afghana? Ritiene che il ritorno anticipato in patria del nostro Ambasciatore a Kabul, Vittorio Sandalli, sia stato opportuno?

“Credo di poter dire che la diplomazia italiana abbia dato durante la crisi afghana una prova maiuscola di professionalità, abnegazione e senso del dovere, dimostrando di possedere qualità ben al si sopra della classe politica che rappresenta. Abbiamo tutti visto come il giovane console Tommaso Claudi abbia tenuto alto il prestigio del Paese e della nostra diplomazia, comportandosi con coraggio, umanità ed efficienza. Un eroe dei nostri tempi! Rinnovando in qualche modo una nobile tradizione che affonda le sue radici nella diplomazia veneziana, quando la Repubblica di San Marco fu maestra per le diplomazie europee.  Del resto in quei giorni ha operato a Kabul un altro prestigioso diplomatico italiano: l’ambasciatore Stefano Pontecorvo, che agiva nella sua qualità di rappresentante civile della NATO. Stessa scuola, stessa tradizione! E’ stato da tutti elogiato, ha ricevuto uno speciale riconoscimento dalla NATO per la sua straordinaria attività, ha fatto onore al proprio Paese.
Circa il rientro anticipato dell’ambasciatore Vittorio Sandalli, non sono in grado di darle una risposta ragionata, non disponendo di informazioni di prima mano. Una cosa però mi è sembrata certa. Se Sandalli è rientrato a Roma, è perché la Farnesina glielo ha chiesto e un ambasciatore non può che obbedire agli ordini ricevuti, graditi o sgraditi che siano. Perché glielo ha chiesto? Posso solo azzardare qualche ipotesi. Probabilmente perché il governo italiano ha voluto mostrare un’assoluta discontinuità col regime dei talebani, lasciando in loco, per le attività finali, solo una rappresentanza politica al più basso livello e forse anche perché la presenza a Roma dell’ambasciatore poteva rivelarsi di grande utilità ai fini del coordinamento delle operazioni di salvataggio. Certo in questo caso sarebbe stato opportuno un coordinamento con i partner europei per stabilire una linea comune: o tutti gli ambasciatori UE rientrano o nessuno. E in vece ancora una volta la DisUnione Europea ha visto ogni paese membro fare a modo suo.”

Come ritiene che si sia comportata, invece, la politica nella gestione della crisi afghana. Cosa avrebbe potuto è dovuto fare il nostro ministro degli Esteri e che giudizio  dare del suo operato?

“La nostra politica estera in Afghanistan è stata necessariamente condizionata dalla presenza militare americana e dall’ondivaga politica di Washington. Gli americani restano, noi restiamo, Gli americani partono, noi partiamo. Non c’era in tale contesto molto altro da fare, se non cercare di salvare quanta più gente possibile, sulla scia della grande fuga (perché tale è stata) delle truppe americane. L’assenza di una politica estera comune europea, l’inesistenza di forze armate europee “integrate”, si sono fatte crudelmente sentire. Si può solo sperare che la drammatica lezione afghana possa finalmente spingere l’UE verso forme d’integrazione più significative in politica estera e in campo militare , in vista di quella difesa comune europea di cui già si parlava negli anni cinquanta del secolo scorso, la famosa CED, che mai vide la luce.”

Eccellenza, lei è stato a lungo Ambasciatore d’Italia a Cuba. Che notizie le giungono dall’Isola: che effetti ha,  avuto, se ne ha avuti, la rivolta di piazza di Luglio?

“Le manifestazioni del luglio scorso in tutte le principali città di Cuba, hanno creato, credo, una nuova consapevolezza, un diverso modo di confrontarsi col regime, un’inedita prospettiva politica. Per la prima volta i cubani hanno protestato a viso aperto, per la prima volta non hanno chiesto solo migliori condizioni di vita e di lavoro, ma anche – e soprattutto –  libertà e democrazia. Per la prima volta insomma il popolo cubano ha detto basta alle penurie, alle privazioni, ai sacrifici, alla repressione, al Partito Unico, al Pensiero Unico e lo ha fatto con molto coraggio, sfidando gli sgherri della polizia politica cubana. E per favore non ditemi che la colpa della misera situazione economica di Cuba è tutta da addebitarsi all’embargo americano. E’ un alibi che non regge più! Certo sarebbe meglio se non ci fosse, i danni che produce sono innegabili.  Ma il problema principale non è lì. La causa principale del mancato sviluppo di Cuba sta nel sistema marxista-leninista (ancora incredibilmente in vigore nell’isola) che non ha mai funzionato e continua a non funzionare. Un sistema che ha distrutto la nascente industria cubana, ha messo in ginocchio l’agricoltura, ha tarpato le ali del benessere economico, riducendo i cubani in un forzato stato di apatia e mancanza d’iniziativa. Faccio solo un esempio per rendere l’idea. Prima della Rivoluzione Cuba, la regina dello zucchero, produceva ogni anno 6/7 milioni di tonnellate di zucchero, che esportava in tutto il mondo. Fidel, dopo la Rivoluzione, aveva assicurato che sarebbero presto arrivati a produrne 10! Oggi, dopo 60 anni di medicina castrista, Cuba produce meno di un milione di tonnellate, insufficiente al consumo nazionale e deve importare zucchero! Credo che le manifestazioni di luglio abbiano fatto capire ai grandi dignitari del regime che la Rivoluzione deve oramai entrare nei libri di Storia e cessare di essere punto di riferimento per l’attualità politica del Paese. I cubani hanno bisogno d’altro. Una nuova Cuba, libera e prospera, è ora possibile, anzi necessaria. Il regime è agli sgoccioli. Dovrebbe prenderne atto e avviare la transizione democratica. Lo farà? Ne dubito.”

Ma lei è anche un prolifico scrittore di storia. Ha pubblicato diversi libri di successo tra i quali “Le spie del duce”, “Dallo spionaggio all”intelligence”, “I signori della truffa”. Mi può parlare del suo ultimo volume sui “I misteri della storia”. Di che si tratta?
La genesi del mio libro è molto semplice. L’editore (Rusconi Libri) mi ha chiesto di ripercorrere i misteri della Storia più sorprendenti e dibattuti, il cui mito sia stato nel frattempo sfatato. Da quelli più conosciuti (la maledizione di Tutankhamon, il mostro di Loch Ness, il triangolo delle Bermude, l’identità di Jack lo squartatore ecc.) a quelli meno noti (la morte di Emile Zola, il vero assassino di Rasputin, la Mata Hari cinese che in realtà era un uomo ecc.). Enigmi che, grazie agli sviluppi dell’investigazione scientifica e medica, hanno potuto scrollarsi di dosso la polvere della leggenda. Ma ho trattato anche misteri che non è stato ancora possibile chiarire per mancanza di riscontri storici affidabili (la morte di Ludwig II di Baviera, la tragedia di Mayerling, Kaspar Hauser ecc.). Nel libro, che sarà pubblicato il 30 settembre, ci sono in definitiva 18 enigmi risolti e 4 non risolti. Un libro di pura divulgazione storica, un libro – mi auguro – di piacevole lettura, un libro per condividere con il lettore la sorpresa, la curiosità e l’interesse provati dall’autore nel raccontare queste 22 intriganti short stories.”

Ringrazio il dottor Vecchioni per il preziosissimo contributo.

 

Anna Tortora

Nata a Nola. Si è laureata alla Pontificia facoltà teologica dell'Italia meridionale. Le sue passioni sono la politica, la buona tavola, il mare e la moda. Accanita lettrice, fervente cattolica e tifosa del Milan.